L’ironia è il tratto dominante del nichilismo
democratico. Abbiamo assistito negli anni ad un aumento di comici e
imitatori, genericamente di sinistra, che organizzano il
proprio spettacolo sulla base della critica politica e
parlano come dei messia.
Si tratta di una satira di evidente basso livello, a cui si assegna un
valore sacrale, fino a considerarlo un termometro della
libertà, insieme al sarcasmo e alla derisione
sistematica adottati sempre più spesso dai
giornali. Questi atteggiamenti sono diventati il marchio
infallibile del buon democratico, cioè l’esempio
universale dell’uomo veramente libero. Una condotta di
cui si può andare orgogliosi, con l’accortezza di
mostrarsi però il più possibile modesti, in rapporto a
tutti i miserabili che non posseggono questa originalità
di pensiero. Il principio di ironia orientato alla dissacrazione
politica è una sorta di imperativo categorico. L’obiettivo è quello di
• esercitare una pressione psicologica sul cittadino
comune per dimostrare che quegli uomini o quei partiti che sono
sbertucciati non sono da prendersi sul serio, non sono una
cosa seria; • suscitare nei lettori, ascoltatori o telespettatori
una sorta di ostilità contro il “nemico” politico.
Il vuoto politico che ne deriva dipende dalla mancanza
di argomentazione, ciò che, più che invogliare il
cittadino ad una partecipazione attiva, lo induce invero
al distacco dalla vita politica.
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